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Alimenti ultra-processati e salute: cosa dice la scienza
Nutrizione
16/11/2021
3 min.
Nutrizione

Negli ultimi anni, si sente sempre più spesso parlare dell’importanza di limitare il consumo di alimenti ultra-processati per ridurre i rischi per la salute. Di cosa si tratta?

La definizione di alimenti ultra-processati è stata coniata dal Professor Carlos Monteiro dell’Università di San Paolo, in Brasile. Monteiro ha infatti sviluppato un sistema di classificazione degli alimenti, NOVA appunto, sulla base del loro grado di trasformazione e quindi dei processi fisici, chimici e biologici che questi subiscono una volta separati dalla loro forma in “natura”, prima che siano consumati o utilizzati per la preparazione dei piatti (1).

Secondo la classificazione NOVA gli alimenti si possono suddividere in 4 gruppi (1):

Gruppo 1 – Alimenti non processati o minimamente processati

Comprende alimenti non trasformati o minimamente trasformati. Gli alimenti non trasformati (o naturali) sono parti commestibili di piante (semi, frutti, foglie, radici) o di animali (muscoli, frattaglie, uova, latte), e anche funghi, alghe e acqua, dopo la separazione dalla natura. Gli alimenti minimamente lavorati sono alimenti freschi naturali sottoposti a processi minimi di lavorazione, quali rimozione di parti non commestibili, essiccazione, macinazione, filtrazione, tostatura, bollitura, pastorizzazione, refrigerazione, congelamento, confezionamento in sottovuoto o fermentazione non alcolica.

Gruppo 2 – Ingredienti culinari processati

Comprende gli ingredienti culinari utilizzati per condire gli alimenti del primo gruppo come zucchero, miele, sale, oli vegetali, burro e brodi ma anche additivi utilizzati per preservare le proprietà originali del prodotto. I prodotti del gruppo 2 sono consumati raramente in assenza di alimenti del primo gruppo. Esempi sono il sale estratto dall’acqua di mare; zucchero e melassa ottenuti dalla canna o dalla barbabietola; miele estratto dai favi e sciroppo d’acero; oli vegetali schiacciati da olive o semi; burro e strutto ottenuti da latte e carne di suino; e amidi estratti da mais e altre piante.

Gruppo 3 – Alimenti processati

Comprende quegli alimenti relativamente semplici realizzati con due o tre ingredienti dei gruppi 1 e 2 e che hanno subito lavorazioni come la cottura, la conservazione e la fermentazione. Si tratta, ad esempio, di verdure e legumi in scatola, carni lavorate, pane, pasta, vino e birra. Questi alimenti possono contenere additivi utilizzati per preservare le loro proprietà originali o per resistere alla contaminazione microbica.

Gruppo 4 – Alimenti ultra-processati

Comprende alimenti e bevande industriali realizzati solitamente con 5 o più ingredienti, inclusi eventuali additivi aggiunti per esaltare i sapori o mascherare qualità sensoriali non desiderate nel prodotto finale. Solitamente, gli alimenti del gruppo 1 sono una piccola percentuale o sono addirittura assenti all’interno dei prodotti ultra-processati.

Relativamente a quest’ultima categoria di alimenti, quella degli ultra-processati appunto, l’esistenza di un’associazione tra il loro consumo e una maggiore mortalità, obesità e rischio di malattie croniche non trasmissibili sembra ormai chiara, come evidenziato da una recente revisione sistematica di 20 studi in cui è stata analizzata l’associazione tra alimenti ultra-processati e rischi per la salute (2).

Che un elevato consumo di alimenti ultra-processati si associ a un maggior rischio di mortalità per diverse cause è emerso anche da uno studio tutto italiano realizzato dai ricercatori dell’Istituto Neuromed di Pozzilli (IS), dell’Università dell’Insubria di Varese, dell’Università di Firenze e del Mediterranea Cardiocentro di Napoli (3). Lo studio infatti ha mostrato su un gruppo di oltre 22.000 soggetti adulti che un consumo elevato di alimenti ultra-processati (>14,6% degli alimenti totali) si associa a un rischio aumentato del 26% di mortalità per tutte le cause, del 58% di mortalità per malattie cardiovascolari e del 52% di mortalità per malattie cerebro-cardiovascolari, rispetto a un consumo basso (<6,6% del totale) (3).

Sebbene i motivi di questa associazione non siano ad oggi del tutto chiari si può ipotizzare che tra le cause vi sia l’elevata quantità di zuccheri e grassi saturi che gli alimenti ultra-processati spesso apportano, ma anche la serie di modificazioni strutturali e nella composizione in nutrienti a cui sono soggetti durante il processo di lavorazione industriale (3).

In una dieta sana ed equilibrata il consumo di alimenti ultra-processati dovrebbe essere quindi limitato il più possibile a favore di alimenti freschi, minimamente trasformati e a partire da materie prime di elevata qualità.

 


1. Monteiro, C. A., Cannon, G., Levy, R., Moubarac, J. C., Jaime, P., Martins, A. P., ... & Parra, D. (2016). NOVA. The star shines bright. World Nutrition, 7(1-3), 28-38.
2. Chen, X., Zhang, Z., Yang, H., Qiu, P., Wang, H., Wang, F., ... & Nie, J. (2020). Consumption of ultra-processed foods and health outcomes: a systematic review of epidemiological studies. Nutrition journal, 19(1), 1-10.
3. Bonaccio, M., Di Castelnuovo, A., Costanzo, S., De Curtis, A., Persichillo, M., Sofi, F., ... & Iacoviello, L. (2021). Ultra-processed food consumption is associated with increased risk of all- cause and cardiovascular mortality in the Moli-sani Study. The American journal of clinical nutrition, 113(2), 446-455.
A cura di
Nutrimi
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Bevande vegetali e latte vaccino NON sono equiparabili tra loro
Nutrizione
15/10/2021
3 min.
Nutrizione

In tutto il mondo, le alternative vegetali al latte vaccino come quelle a base di soia, mandorla e avena sono sempre più richieste, tanto che il mercato dei “latti vegetali” è stato valutato 14 miliardi di dollari nel 2019 e prevede una crescita di circa 8% l’anno tra il 2019 e il 2029 (1). Questo boom, dipeso forse dallo sviluppo di nuovi regimi alimentari per scelta o necessità, ha consentito di introdurre un alimento simile al latte nelle diete di persone vegane, intolleranti o allergiche, con un valido apporto di nutrienti. Questi ultimi però, non possono essere paragonati a quelli presenti nel latte e, in tal senso, le bevande vegetali prese singolarmente non possono essere definite dei veri e perfetti sostituti del latte vaccino, in quanto a parità di prodotto gli apporti in nutrienti risultano differenti.

Infatti, il latte vaccino pastorizzato intero (100 g) apporta 64 kcal, 3,3 g di proteine, 3,6 g di lipidi, 11 mg di colesterolo e 4,9 g di carboidrati. Inoltre, per quel che riguarda i minerali, 100 g di latte intero contengono 119 mg di calcio, 150 mg di potassio 50 mg di sodio e 0,1 mg in ferro.
Prendendo come esempio l’alternativa vegetale a base di soia, invece,100 g di prodotto, apportano 32 kcal, 2,9 g di proteine, 1,9 g di lipidi, 0 g di colesterolo e 0,8 g di carboidrati, 13 mg di calcio, 120 mg di potassio, 32 mg di sodio e 0,4 mg di ferro (2).

Generalizzando, sebbene le alternative vegetali siano molto diverse tra loro, anche in base al prodotto vegetale di partenza, è possibile affermare che il loro contenuto calorico è inferiore rispetto a quello del latte vaccino. In tal senso le bevande vegetali si configurano come più leggere e adatte a regimi ipocalorici.
Per quel che riguarda i carboidrati, se nel latte il lattosio primeggia, nelle alternative vegetali questo viene sostituito da saccarosio, fruttosio, maltodestrine, succo di mela o sciroppi, il che, nonostante una miglior qualità sensoriale, può portare a ripercussioni negative sull’indice glicemico e dunque sulla qualità nutrizionale.

In termini proteici il latte vaccino mostra un profilo DIASS (Digestibile Indispensable Amino Acid Score, metodo di misurazione che descrive il valore delle fonti proteiche) superiore rispetto alle proteine vegetali.
La composizione lipidica delle bevande vegetali invece risulta nutrizionalmente preferibile in quanto presentano principalmente acidi grassi insaturi e sono prive di colesterolo, a differenza del latte vaccino cui si associano tendenzialmente acidi grassi saturi. Per quel che riguarda i micronutrienti, infine, le differenze non sono facilmente generalizzabili in quanto spesso le bevande vegetali risultano fortificate al fine di ottenere caratteristiche sensoriali e nutrizionali più affini al latte.

A causa di queste differenze, risulta evidente come la maggior parte delle bevande a base vegetale non possa sostituire completamente il latte e che per ottenere una corretta sostituzione nella propria dieta con alternative vegetali è necessaria un’attenta valutazione legata anche all’obiettivo nutrizionale e sensoriale prescelto. È particolarmente importante, infine, valutare attentamente questa sostituzione in età pediatrica, dove la presenza di un piano nutrizionale adeguato alle esigenze di un organismo in crescita è imprescindibile.

  1. Park, Y. W. (2021). The impact of plant-based non-dairy alternative milk on the dairy industry. Food Science of Animal Resources, 41(1), 8.
  2. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Tabelle di composizione degli alimenti 
  3. Fructuoso, I., Romão, B., Han, H., Raposo, A., Ariza-Montes, A., Araya-Castillo, L., & Zandonadi, R. P. (2021). An overview on nutritional aspects of plant-based beverages used as substitutes for cow’s milkNutrients13(8), 2650.

 

 

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Nutrimi
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Boom degli alimenti veg: vere alternative alla carne o prodotti… differenti?
Nutrizione
01/10/2021
3 min.
Nutrizione


Secondo gli ultimi dati Eurispes, in Italia quasi 1 persona su 10 è vegetariana o vegana (l’8,2% della popolazione) e il 21% di chi segue queste diete lo fa per motivi legati alla salute, convinto della loro superiorità in termini di benefici (1). È realmente così? I prodotti veg sono migliori dal punto di vista qualitativo e nutrizionale rispetto agli alimenti convenzionali? La risposta è no, o almeno non necessariamente.

A confermarlo è anche la recentissima indagine ‘Burger di carne VS Veg: la sfida definitiva’, presentata in occasione di Nutrimi Special Edition e realizzata dalla startup italiana Oplà, una app in grado di analizzare e confrontare i prodotti alimentari sia dal punto di vista nutrizionale che in termini di classificazione NOVA (ovvero sulla base grado di trasformazione degli alimenti). Dal confronto realizzato tra un burger di sola carne bovina macinata e la media dei dati di 10 burger vegetali scelti tra i leader di mercato, emerge infatti in modo abbastanza chiaro quanto i burger vegetali non possano essere considerati una vera alternativa ai burger di carne, per diversi motivi.

La composizione nutrizionale dei due prodotti è molto diversa: l’hamburger di carne apporta principalmente proteine (20,5 g/100 g), che rappresentano oltre la metà dell’energia (57% En), e grassi (7 g/100 g), mentre il burger vegetale presenta quantità simili di proteine, grassi e carboidrati (grassi: 13,3 g; proteine: 14,7 g; carboidrati: 9 g), con la gran parte dell’energia proveniente dai grassi (55,8% En), seguita dalle proteine e dai carboidrati.

Anche in termini di qualità nutrizionale esistono delle differenze tra i prodotti che emergono tramite lo score nutrizionale, ovvero quel punteggio da 0 a 10, assegnato da Oplà, che rappresenta la qualità nutrizionale dei prodotti considerando in particolare il contenuto in zuccheri semplici, grassi saturi e sale. Infatti, non contenendo né sale né zuccheri l’hamburger di carne risulta vincente, con un punteggio di 8,8 contro 6,4 di quello vegetale.

Infine, la differenza tra i due prodotti emerge anche in termini di Nova score: se da un lato il burger di carne, costituito da un solo ingrediente, presenta il Nova score con il livello più basso di trasformazione, ovvero 1, dall’altro lato i prodotti vegetali hanno il più alto grado di trasformazione industriale, corrispondente a un Nova di 4.

Questi risultati sottolineano l’importanza di prestare attenzione a tutti gli aspetti di un alimento per fare scelte realmente consapevoli, prima di definire salutistici degli alimenti solo per la loro origine vegetale. Inoltre, parlare di vere e proprie alternative vegetali e di alimenti intercambiabili potrebbe essere fuorviante, come di recente concluso da uno studio pubblicato su una rivista del gruppo di Nature (2). Da un’analisi di metabolomica è infatti emerso che di 190 metaboliti ricercati nella carne di manzo e in surrogati vegetali, ben 170 di essi non coincidevano nei due campioni, poiché la gran parte sono presenti o solo nella carne o solo nei prodotti vegetali (2).

Come dichiarato dal gastroenterologo e nutrizionista Luca Piretta di fronte ai risultati dell’indagine “osservando questi dati, i burger vegetali non si possono considerare un’alternativa soddisfacente e preferibile alla carne magra, né dal punto di vista nutrizionale né tantomeno salutistico. Si tratta di prodotti diversi, sicuramente non sostituibili tra loro, semmai complementari.

 

 

1. Eurispes (2021). 33° Rapporto Italia. Documento di sintesi.
2. van Vliet, S., Bain, J. R., Muehlbauer, M. J., Provenza, F. D., Kronberg, S. L., Pieper, C. F., & Huffman, K. M. (2021). A metabolomics comparison of plant-based meat and grass-fed meat indicates large nutritional differences despite comparable Nutrition Facts panels. Scientific reports, 11(1), 1-13.
A cura di
Nutrimi
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Carne bovina, la ‘rossa’ per eccellenza: peculiarità nutrizionali.
Nutrizione
20/06/2021
3 min.
Nutrizione

Quando si parla di carne rossa si pensa immediatamente a quella bovina, di manzo, per il suo colore intenso. La composizione della carne bovina italiana è caratterizzata dalla presenza di pochissimi grassi, che variano a seconda della tipologia di animale e di taglio: in media la carne di vitello contiene dall’1 al 2,7% di grassi mentre i tagli del bovino adulto variano dal 3,4% al 7%.

La carne bovina, inoltre, contiene circa il 18-20% di proteine ‘nobili’ (Fonte: INRAN, 2015), intendendo con questa dicitura quelle proteine di qualità superiore che contengono tutti gli amminoacidi essenziali nelle proporzioni tra loro necessarie per un’efficiente sintesi proteica. L’uomo, soprattutto in età pediatrica, ha necessità di assumere tutti gli amminoacidi essenziali in quantità sufficienti al suo fabbisogno, poiché solo così l’organismo sarà in grado di sintetizzare a sua volta tutte le proteine necessarie per il suo corretto sviluppo e funzionamento. Al contrario, le fonti vegetali non contengano singolarmente tutti gli amminoacidi essenziali e solo un loro sapiente mix può fornirne uno spettro completo, ma in ogni caso non hanno quel rapporto in grado di permettere una sintesi proteica altrettanto efficiente, a parità di quantità. Per intenderci, di seguito due esempi di pasti che permettono di assumere la quantità adeguata di amminoacidi essenziali per un adulto:

– 2 piatti di pasta con fagioli (oltre 700 kcal).

– 1 fettina di carne magra da 70 g (77 kcal).

Come si evince, per soddisfare il fabbisogno amminoacidico giornaliero seguendo una dieta esclusivamente a base di vegetali, si rischia facilmente di assumere una quantità molto elevata di calorie. Infine, ricordiamo che le proteine della carne sono facilmente digeribili ed assimilabili in virtù della loro composizione primaria e secondaria, e raramente fonte di allergia. La carne bovina, al di là delle proteine, apporta al nostro organismo una significativa quantità di micronutrienti fondamentali in forma facilmente assimilabile tra i quali ferro, zinco, selenio e vitamina B12.

Il ferro ha l’importante compito di permettere il trasporto dell’ossigeno nell’organismo attraverso il sangue e il suo fabbisogno è particolarmente alto per le donne in età fertile. In Italia, gli adolescenti e soprattutto le adolescenti sono un gruppo esposto a grave rischio di carenza di ferro: le carni rosse rappresentano un alimento particolarmente efficace per la copertura dei fabbisogni. La carne, oltre a fornire ferro eme, quindi facilmente assimilabile, aumenta l’assorbimento anche del ferro non eme, svolgendo quindi una importantissima funzione antianemica

Lo zinco è un componente essenziale di molti enzimi. Svolge un ruolo importante, insieme ad altri minerali, nel metabolismo dell’ormone tiroideo e nei processi di formazione di ossa e muscoli. Ma lo zinco non è importante solo per la crescita: coinvolto in numerosissimi processi biochimici come nel funzionamento del sistema immunitario, nello sviluppo del sistema nervoso, un suo insufficiente apporto può contribuire allo sviluppo di patologie cronico-infiammatorie dell’apparato gastro-intestinale, come il morbo di Crohn. La carne rappresenta la fonte alimentare più importante (circa il 25%) di questo prezioso minerale.

La vitamina B12 è coinvolta in diverse funzioni corporee, soprattutto legate alla funzione nervosa e a quella dei globuli rossi (entra nella formazione dell’emoglobina), alla sintesi degli acidi nucleici e all’utilizzo dei grassi. È importante assumerne una quantità minima ogni giorno, ed è reperibile solo negli alimenti di origine animale.

Il selenio è essenziale per la sintesi della principale molecola antiossidante prodotta dall’organismo vale a dire il glutatione ridotto, interviene nella sintesi degli ormoni tiroidei ed è il principale ostacolo all’accumulo di alcuni metalli pesanti come il mercurio.

A cura di
Luca Piretta
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Cosa significa ‘dieta sostenibile’? Guida pratica per costruire piatti bilanciati e ‘green’.
Nutrizione
20/06/2021
3 min.
Nutrizione

Quando si parla di alimenti e sostenibilità, spesso ci si limita a osservare il minore o maggior impatto di alcune categorie di alimenti rispetto ad altre (emblematico è il caso della carne) senza considerare la dieta nel suo complesso. Questo approccio rischia di far escludere alcuni alimenti (in quanto etichettati come ‘dannosi per l’ambiente’) che, viceversa, se consumati nelle giuste quantità possono avere un ruolo virtuoso in una dieta bilanciata e sostenibile. Tra i tanti errori diffusi al riguardo vi è quello di confrontare l’impatto ambientale di un kg di carne con quello di un kg di frutta e verdura, perché il contenuto dei nutrienti è completamente diverso, così come le quantità di consumo raccomandate, più basse per la carne e molto più alte per i vegetali (1).

Parlando di diete sostenibili non si può non menzionare la Dieta Mediterranea, un modello caratterizzato da una prevalenza di prodotti vegetali, ma che non esclude delle quote di prodotti animali necessarie, senza eccedere, a coprire le inevitabili carenze di un modello completamente vegetale (1). A tal proposito è stata recentemente pubblicata una nuova piramide della Dieta Mediterranea che coniuga gli aspetti nutrizionali del famoso modello alimentare con aspetti di sostenibilità alimentare (2).

Come risultato di un lungo lavoro di revisione e “rimodellamento” della precedente piramide pubblicata nel 2011, la nuova piramide mira ad includere i più recenti risultati relativi all’impatto ambientale del modello mediterraneo. La Dieta Mediterranea, infatti, favorirebbe emissioni di gas serra “controllate”, garantendo il rispetto della stagionalità dei prodotti, del territorio e della biodiversità (2).

Tra le novità della “nuova piramide sostenibile” vi è infatti la presenza, in ciascun livello, di una terza dimensione che rappresenta gli aspetti ambientali e l’impatto specifico di ciascuna categoria di alimenti.

Chi sono i ‘meno sostenibili’? Prodotti industriali, merendine e dolci ricchi in zuccheri e grassi sono quei prodotti presenti al vertice della piramide il cui consumo deve essere limitato a un massimo di 3 volte alla settimana, sia per gli effetti sulla salute sia per il loro impatto sull’ambiente (2). Per gli italiani, quindi, forse sarebbe da rimettere in discussione il modello di colazione ‘dolce’ in modo da limitare il consumo di prodotti di forno, a favore di pane integrale e cereali poco processati come i fiocchi d’avena, ad esempio, in abbinamento a un’adeguata porzione di latte o yogurt. Di certo, quindi, ben più sostenibile era la colazione dei nostri nonni, a base ad esempio di caffellatte e pane raffermo.

Per quanto riguarda il consumo di verdura, frutta fresca e secca, si enfatizza la necessità di scegliere prodotti locali (2): dimentichiamoci quindi della frutta esotica come categoria ‘healthy’ per eccellenza nelle diete più in voga, soprattutto nei contesti urbani, pensando ad esempio agli ultimi anni in cui zenzero, avocado e gli altri cosiddetti ‘superfood’ hanno letteralmente spopolato. Basandoci sulle frequenze di consumo e sugli alimenti consigliati sulla base di questo approccio, largamente condiviso a livello di comunità scientifica e che privilegia il consumo di prodotti freschi, locali e stagionali, proviamo a ipotizzare per la stagione estiva alcuni piatti virtuosi dal punto di vista delle raccomandazioni nutrizionali e… ambientali.

A cura di
Nutrimi
Straccetti di carne marinati con rucola e pomodorini, accompagnati da riso integrale
Ingredienti: 100 g di straccetti di manzo, 50 g di rucola, 100 g di pomodorini
Il commento 'green' del nutrizionista: anche la carne può far parte di una dieta green se consumata in modo equilibrato per quantità e frequenza durante la settimana.
Panzanella
Ingredienti: 100 g di pane raffermo, 70 g di pomodori, 70 g di cetrioli, 30 g di cipolle, aceto 20 g, olio q.b., acqua q.b. basilico q.b.
Il commento 'green' del nutrizionista: la panzanella è un piatto della tradizione che permette il riutilizzo di pane “invecchiato”, riducendo gli sprechi alimentari.
Riso integrale con fave, pecorino e menta
Ingredienti: Ingredienti: 80 g di riso integrale, 150 g di fave fresche, un cucchiaino di pecorino, menta q.b.
Il commento 'green' del nutrizionista: le fave sono un legume tipico della stagione primaverile/estiva. Curiosità: aggiungere un po’ di succo di limone può favorire l’assorbimento del ferro vegetale.
Insalatona di patate, fagiolini, acciughe e olive, accompagnata da un piccolo panino integrale
Ingredienti: 200 g di patate, 200 g di fagiolini, 4 (50 g) acciughe, 8 olive, olio evo
Il commento 'green' del nutrizionista: durante la settimana è consigliato preferire il consumo di pesce fresco azzurro tipico del Mar Mediterraneo, come acciughe e sardine, e consumare quello conservato non più di una volta alla settimana.

Ricapitoliamo quindi qualche trucco e consiglio per orientarci verso un’alimentazione il più possibile ‘green’, oltre che bilanciata:

– Buon senso prima di tutto

Torniamo a scoprire le stagioni, con il loro patrimonio di prodotti, privilegiando sempre quelli del nostro territorio: più vicino, meglio è. In buona sostanza, proviamo a riavvicinarci a quella che era l’alimentazione… dei nostri nonni (3).

– Prepariamo il cibo con le nostre mani (o scegliamolo con la testa)

Cucinare è un’arte, e richiede tempo. Per la maggior parte di noi potrebbe risultare veramente complesso, se non impossibile, preparare ogni giorno ricette salutari a partire da prodotti freschi. Cerchiamo quindi di scegliere consapevolmente anche i piatti che acquistiamo già pronti, al supermercato o al ristorante.

– Scelte radicali? Meglio la moderazione

Quando parliamo di alimenti e sostenibilità vengono subito in mente le diete vegetariane e vegane, in quanto ritenute associate ad un minor impatto ambientale rispetto alle diete onnivore. Non dimentichiamo però che in queste diete, prive in parte o del tutto di prodotti di origine animale, c’è un alto rischio di ricorrere a prodotti sostitutivi di origine vegetale che spesso sono alimenti ultra-processati, con un impatto ambientale elevato. Ad oggi, sulla base dei dati esistenti, preferiamo considerare come modello alimentare di riferimento, sano e sostenibile, la Dieta Mediterranea con il giusto quantitativo di tutti gli alimenti e dando largo spazio a quelli freschi, di stagione e locali.

1. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Linee guida per una sana alimentazione 2018
2. Serra-Majem, L., Tomaino, L., Dernini, S., Berry, E. M., Lairon, D., Ngo de la Cruz, J., … & Piscopo, S. (2020). Updating the Mediterranean Diet Pyramid towards Sustainability: Focus on Environmental Con-cerns. International Journal of Environmental Research and Public Health, 17(23), 8758.
3. XIII Forum di Nutrizione Pratica. Verso sistemi alimentari sostenibili: ripartendo dalla tradizione.
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Dieta mediterranea significa ‘onnivora’: una scelta di salute.
Nutrizione
20/06/2021
4 min.
Nutrizione

Tra vegani e vegetariani è molto diffusa e radicata la convinzione che una dieta esclusivamente vegetale sia benefica e possa addirittura favorire la guarigione da presunti disturbi causati dalla dieta onnivora. In realtà, anche sulla base di studi sul cancro che non hanno mostrato particolari differenze nell’incidenza di questa patologia tra vegetariani e non vegetariani, la letteratura suggerisce che lo stato di salute di soggetti vegetariani occidentali non sia affatto migliore di quella degli individui onnivori e, anzi, che sia del tutto comparabile alla salute di chi mangia carne. Il punto chiave si trova nella qualità e nella proporzionalità della dieta onnivora che deve essere ispirata alla dieta mediterranea. Una dieta onnivora sbilanciata infatti può essere tanto pericolosa quanto una dieta eccessivamente privativa.

L’importanza nutrizionale della carne è da ricercare in particolare nel suo apporto di importanti micronutrienti quali ferro, selenio, vitamine A, B12 e acido folico, alcuni dei quali scarsamente rappresentati nel mondo vegetale o comunque poco biodisponibili in queste fonti. Se l’alimentazione vegetariana prevede l’esclusione di tutti gli alimenti carnei dalla dieta, la vegana estende l’esclusione al consumo di qualsiasi derivato animale. In termini di nutrienti, la prima è tipicamente ricca in carboidrati, acidi grassi omega-6, fibra, carotenoidi, acido folico, magnesio, vitamine C ed E, ma, se non ben pianificata da un esperto in nutrizione, tendenzialmente è insufficiente nell’apportare proteine, acidi grassi omega-3 attivi, vitamina B12 e zinco. I vegani, in particolare, possono presentare importanti carenze di vitamina B12 e bassi introiti di calcio, zinco e selenio, e inoltre per far fronte alle necessità proteiche sono costretti ad assumere grandi quantità di cereali e legumi spesso mal tollerate e origine di disturbi gastrointestinali in particolare nei soggetti affetti da sindrome dell’intestino irritabile o di disbiosi intestinale. Se è vero che, grazie alla grande varietà di alimenti a disposizione e di nutrienti che ognuno di essi è in grado di apportare, nessuno di essi è indispensabile alla nostra salute e al nostro benessere, va riconosciuto che il consumo di alcuni alimenti è particolarmente raccomandabile per alcune fasce di popolazione ‘vulnerabili’. Diversi studi volti a indagare lo stato di salute delle popolazioni vegetariane evidenziano un particolare rischio di carenze che può diventare preoccupante per i bambini e donne in gravidanza e allattamento.

La gravidanza rappresenta sicuramente un momento di aumentato fabbisogno di sostanze nutritive, che si riflette anche in una maggiore attenzione da parte della donna alla propria dieta. L’accresciuto fabbisogno di proteine tipico di questa fase della vita può essere soddisfatto attraverso un maggiore introito di alimenti proteici, tra cui le carni. Esse sono in grado di apportare al contempo anche ferro, folati e vitamine B1, B2 e B12, tutte sostanze di cui la donna in stato di gravidanza ha un fabbisogno accresciuto, insieme a calcio e vitamina A, reperibili in diversi altri alimenti di origine animale (come il fegato, il latte o le uova) o vegetale. Il consumo di carne in gravidanza si basa sulla semplice raccomandazione di evitare carne, salumi e altri prodotti animali crudi o poco cotti.
Alcuni studi evidenziano che i bambini allattati al seno da madri vegetariane, soggetti a elevato rischio di iperomocisteinemia (l’elevata concentrazione di omocisteina nel sangue) causata dalla carenza di vitamina B12, siano a rischio di gravi anomalie dello sviluppo, difetti della crescita e anemia. È importante ricordare che l’apporto esclusivo di folati per fronteggiare il rischio dell’iperomocisteinemia nei soggetti che non assumono vitamina B12 è del tutto insufficiente per la comparsa di un fenomeno metabolico chiamato “trappola dei folati”.

Il primo rischio di carenza di nutrienti per il bambino si verifica poi al passaggio dalla fase di allattamento a quella di svezzamento, quando è necessaria una buona dose di ferro altamente biodisponibile. Accrescendo l’assorbimento di ferro, un’aumentata assunzione di carne durante lo svezzamento può prevenire una diminuzione della concentrazione di emoglobina nella tarda infanzia, ovvero la manifestazione dell’anemia. Una nutrizione inadeguata durante l’infanzia è associata a scarsi risultati scolastici e cognitivi a breve termine, mentre l’integrazione alimentare con carne è collegata a un miglioramento cognitivo nell’infanzia. Una carenza multipla di nutrienti quali vitamina B12, tiamina, niacina, zinco e ferro nei bambini è associata a una ridotta performance cognitiva, con conseguenze per la salute che si potrebbero riscontrare anche durante l’età adulta.

A cura di
Luca Piretta