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8 preziosi consigli per grigliare in sicurezza
Nutrizione
19/04/2023
4 min.
Nutrizione

La grigliata fa parte delle tradizioni locali di diversi Paesi e, per tal ragione, è importante ricordare sempre quali sono le buone pratiche per farla nel rispetto della sicurezza alimentare 

Come noto, infatti, cuocere gli alimenti con la griglia può portare alla formazione di sostanze potenzialmente pericolose che possono aderire sulla superficie degli alimenti o formarsi quando le proteine della carne reagiscono con la fiamma diretta.  

Se si griglia nel periodo estivo, alle caratteristiche della cottura si unisce anche il clima caldo, per il quale è bene prestare ancor più attenzione: i tassi di malattie di origine alimentare, infatti, tendono ad aumentare durante i mesi estivi poiché i germi crescono più velocemente in un clima più caldo e umido 

Inoltre, le persone cucinano e mangiano all’aperto, aumentando i rischi per la sicurezza alimentare, poiché spesso grigliano lontane dal sapone e dall’acqua corrente del lavello della cucina (1).  

In ragione di ciò, per poter garantire una grigliata più sicura, l’American Institute for Cancer Research (AICR) (2) e il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti d’America (USDA) (1) hanno stilato diversi consigli per grigliare con maggior sicurezza. 

I Consigli dell’AICR 

  1. Alternare diversi alimenti: non solo hamburger e bistecche, è possibile essere creativi e grigliare anche altri tagli di carne e verdure, fonte di preziosi micronutrienti.
    2. Marinare: alcuni studi suggeriscono che la marinatura della carne rossa, del pollame e del pesce per almeno 30 minuti possa ridurre la formazione di sostanze indesiderate. Per una marinatura gustosa e protettiva è consigliabile usare un mix di aceto e succo di limone o vino con olio, erbe e spezie.
    3. Precuocere: in caso di tagli più grandi, per ridurre il tempo di contatto tra carne e fiamma, è consigliabile cucinarla parzialmente in forno prima di procedere con il barbecue.
    4. Star “bassi” sia con il fuoco che con i grassi: cuocere la carne a fuoco lento potrebbe ridurre la formazione di ammine eterocicliche e di idrocarburi aromatici policiclici (i sopraccitati composti nocivi). Inoltre, è bene cuocerla al centro della griglia e voltarla frequentemente. Anche rimuovere le parti più grasse della carne può ridurre le fiammate e la carbonizzazione.
    5. Aggiungere colore alla griglia: le verdure grigliate, ad esempio zucchine, cipolle, melanzane e peperoni, sono ottime e apportano sostanze antiossidanti e protettive, oltre a fibre e micronutrienti (2). 

I consigli dell’USDA  

  1. Usare un termometro per alimenti: molte persone possono trovarsi a grigliare da sole per la prima volta. Una lezione importante per chi griglia è ricordare che il colore non è mai un indicatore affidabile di sicurezza e di cottura. Utilizzare un termometro per alimenti per garantire le temperature interne di sicurezza è dunque un’ottima strategia. Il pollame (intero o macinato) dovrebbe avere una temperatura interna di circa 74 °C; bistecche, costolette e arrosti di manzo, maiale, agnello e vitello dovrebbero essere internamente a 63°C. Per sicurezza e qualità, la carne andrebbe lasciata a riposo per almeno tre minuti prima di tagliarla o consumarla. I prodotti preparati con macinato di manzo, maiale, agnello e vitello, infine, dovrebbe avere una temperatura interna di circa 71°C.
  2. Seguire la regola dell’ora nelle giornate calde: quando la temperatura esterna supera i 30°, gli alimenti deperibili come carne e pollame, salse e insalate fredde, frutta e verdura tagliata possono rimanere in tavola solo per un’ora. Dopo un’ora, i batteri nocivi, che possono causare malattie di origine alimentare, possono iniziare a crescere. Per evitare che ciò accada, mantenere i cibi freddi e quelli caldi tali, evitando qualunque contatto tra quelli da cuocere e quelli ancora crudi
  3. Conoscere l’ambiente esterno: durante il barbecue all’aperto, assicurarsi di avere a disposizione disinfettanti per le mani o salviette umide per mantenere le mani pulite prima, durante e dopo la preparazione del cibo. Si può usare acqua calda e sapone per lavare le mani per almeno 20 secondi prima e dopo aver maneggiato il cibo. Si può usare un disinfettante per mani che contenga almeno il 60% di alcol e/o usare salviette umide a base di alcol per igienizzare taglieri o utensili.
1. Zhongming, Z., Linong, L., Xiaona, Y., Wangqiang, Z., & Wei, L. (2021). USDA Provides Food Safety Tips to Grilling Pros and Beginners.

2. American Institute for Cancer Research. (2019). Cancer Experts Issue Warning on Grilling Safety. Available at: https://www.aicr.org/press/press-releases/2019/cancer-experts-issue-warning-on-grilling-safety.html
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Redazione
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Quinto Quarto: le frattaglie da valorizzare
Nutrizione
19/04/2023
3 min.
Nutrizione

Con la definizione di quinto quarto intendiamo tutte le parti commestibili che, nel bovino, non appartengono ai tagli più nobili. Durante la macellazione, l’animale viene diviso in quattro parti per ricavarne i vari tagli, anteriori e posteriori. Nel quinto quarto rientrano, dunque, le frattaglie, che a loro volta si dividono in “frattaglie rosse”, costituite da fegato, cuore, milza, rognone (reni), polmone e lingua, e le “frattaglie bianche”, che comprendono cervello, animelle e trippa. Sembrerebbe anche che alla definizione di quinto quarto si aggiunga il fatto che le frattaglie ammontino a circa un quarto del peso della carcassa. 

Un prezioso ingrediente nella cucina moderna   

Un tempo, queste parti del bovino, appunto considerate scarti, finivano sulla tavola di chi non poteva permettersi altri tagli più pregiati e anche più costosi; oggi, invece, sono considerate una prelibatezza e le ricette che le rendono protagoniste hanno conquistato anche la cucina Gourmet. 

Seppur considerate tagli meno nobili, le frattaglie si distinguono per avere un gusto deciso e particolare, ma soprattutto ottime caratteristiche dal punto di vista nutrizionale. Il quinto quarto, inoltre, deve essere fresco e di qualità per essere consumato nel modo e nel momento migliore, tant’è che all’apparenza deve risultare di colore brillante e sufficientemente umido. 

Una storia di tradizione locale 

Ogni regione ha le proprie tradizioni e ricette. Nota a tutti, ad esempio, è la trippa alla Milanese, o ancora la coda alla Vaccinara, un secondo tipico della città di Roma, per non tralasciare i gustosi crostini di milza toscani. Anche nella cucina delle Dolomiti, viene ampiamente utilizzato il quinto quarto per ricette saporite, come arrosti e spezzatini da gustare con un bel piatto di polenta calda e nutriente 

Due ricette tradizionali a base di milza  

A proposito di cucina tradizionale, perché non provare a conoscere il quinto quarto partendo dalla milza? Vediamo insieme due regioni, due ricette e due mood diversi per gustarla! 

Crostini di milza toscani. Il crostino nasceva con l’idea, nelle famiglie più povere, di non sprecare il pane; il pane secco, infatti, veniva abbrustolito, bagnato con brodo o vino e ricoperto con carne tritata ottenuta dalle parti meno nobili degli animali, come il quinto quarto appunto. Piatto povero sì, ma molto gustoso, apprezzato anche dalla nobiltà, tant’è che i crostini di milza si confermano ad oggi uno degli antipasti più apprezzati della tradizione culinaria toscana. 

Ora chiudete gli occhi e dalla Toscana immaginatevi direttamente a Ballarò, il famoso mercato di Palermo; qui la milza diventa protagonista di un colorato street food: il pani câ meusa, il famoso panino con la milza. 

Oltre alla milza, il pane morbido contiene anche pezzi di polmone e trachea, il tutto bollito e tagliati in fette sottili, soffritti nello strutto. Il panino può essere gustato semplice, con sale, pepe e limone, oppure arricchito con caciocavallo grattugiato o ricotta. 

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Redazione
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Come creare un piatto bilanciato a base di carne rossa?
Nutrizione
19/04/2023
3 min.
Nutrizione

Ai fini di una sana alimentazione, è importante prestare attenzione tanto al quantitativo di proteine, carboidrati e grassi assunti con la dieta, quanto alla fonte da cui derivano, che può più o meno risultare preferibile in termini di qualità dei macronutrienti assunti. A tal proposito, rispetto all’apporto proteico, è importante tenere in considerazione la qualità delle proteine e, in particolar modo quali amminoacidi apportano. Per chiarire ogni dubbio, potremmo definire gli aminoacidi come i mattoncini che costituiscono le proteine e definire essenziali quelli che il nostro organismo non è in grado di produrre da solo, ma che devono essere introdotti con l’alimentazione. Tra questi, un posto d’onore spetta alla leucina, un amminoacido essenziale a catena ramificata, presente in tutte le proteine ma sicuramente più abbondante in quelle di origine animale (1).  

Proteine ad alto valore biologico e Leucina 

La qualità delle proteine può essere valutata attraverso il loro valore biologico. Quest’ultimo è un parametro numerico che valuta la qualità delle proteine che assumiamo con l’alimentazione e, nello specifico, esprime sia il contenuto di aminoacidi essenziali, sia il loro potenziale plastico, ovvero la loro capacità di “costruire la muscolatura” (o stimolare la sintesi muscolare).
Tra i vari nutrienti, le proteine ad alto valore biologico come quelle della carne (di cui abbiamo parlato approfonditamente anche qui) e la leucina sono di particolare interesse per i loro effetti dimostrati sulla salute muscolo-scheletrica (1).  

L’assunzione di alimenti contenenti proteine, infatti, sembrerebbe stimolare la sintesi proteica muscolare, con un picco di circa 2-3 ore dopo l’ingestione (2). Se poi la leucina risulta presente in buone proporzioni sembrerebbe ancor meglio. Essendo uno dei 10 aminoacidi essenziali, la leucina svolge un ruolo importante nella sintesi e nella degradazione delle proteine e, in particolare, nella promozione della sintesi proteica a seguito del pasto (3). 

Questo è ancor più importante da tenere in considerazione quando si invecchia, poiché con l’avanzamento dell’età la sintesi proteica risulta fisiologicamente ridotta (4). Negli individui anziani, infatti, l’apporto proteico dovrebbe essere superiore (di 1,0-1,2 g al giorno per kg di peso corporeo), così da mantenere uno stato proteico positivo. Un uomo anziano di 70 kg dovrebbe, quindi, consumare mediamente tra 70 e 84 g di proteine al giorno,  ricordando sempre che 100g di carne non apportano 100g di proteine ma solo 20g. Ma non solo! Il gruppo di studio PROT-AGE (5) ha proposto per gli anziani un apporto proteico pari a 25–30 g di proteine per pasto per contrastare la perdita di massa magra tipica dell’età, suggerendo al contempo di garantire un apporto di leucina di circa 2.5-2.8 g ai tre pasti principali (5).  

Come tradurre in pratica queste indicazioni nutrizionali?  

La carne rossa non solo contiene proteine ad alto valore biologico, come altri alimenti di origine animale, ma vanta anche un significativo contenuto di leucina: ad esempio, 100 g di fesa di bovino adulto contengono ben 1.894 mg di leucina. Trasformare questo dato in pratica?  

Componiamo insieme il nostro pasto in questo semplice modo: 

– filetto di bovino (120 g); 

– Contorno di verdure grigliate (100 g melanzane, 100 g zucchine) e patate (350 g) condite con olio, aceto, sale e spezie; 

– 2 crackers di riso in accompagnamento; 

– macedonia di frutta mista (50 g fragole, 50 g pesca, 50 g banana); 

Con un pasto così composto, otteniamo un totale di 753 kcal, 34.4 g di proteine con 2.7 g di leucina.  

1. Tessier, A.J. & Chevalier, S. (2018). An update on protein, leucine, omega-3 fatty acids, and vitamin d in the prevention and treatment of sarcopenia and functional decline. Nutrients, 10(8):1099. doi: 10.3390/nu10081099

2. Moore, D.R., Robinson, M.J., Fry, J.L., Tang, J.E., Glover, E.I., Wilkinson, S.B., et al. (2009). Ingested protein dose response of muscle and albumin protein synthesis after resistance exercise in young men. American Journal of Clinical Nutrition, 89(1):161-8. doi: 10.3945/ajcn.2008.26401

3. Sugawara, T., Ito, Y., Nishizawa, N., & Nagasawa, T. (2007). Supplementation with dietary leucine to a protein-deficient diet suppresses myofibrillar protein degradation in rats. Journal of nutritional science and vitaminology, 53(6), 552-555.

4. Devries, M.C., McGlory, C., Bolster, D.R., Kamil, A., Rahn, M., Harkness L., et al. (2018). Protein leucine content is a determinant of shorter- and longer-term muscle protein synthetic responses at rest and following resistance exercise in healthy older women: a randomized, controlled trial. American Journal of Clinical Nutrition. 107(2):217-226. doi: 10.1093/ajcn/nqx028

5. Bauer, J., Biolo, G., Cederholm, T., Cesari, M., Cruz-Jentoft, A.J., Morley, J.E., et al. (2013). Evidence-based recommendations for optimal dietary protein intake in older people: a position paper from the PROT-AGE study group. Journal of the American Medical Directors Association, 14(8):542-59. doi: 10.1016/j.jamda.2013.0 5.021
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Redazione
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Il ferro non è tutto uguale: carne rossa vs spinaci di Popeye
Nutrizione
18/04/2023
4 min.
Nutrizione

Quante volte da bambini ci siamo sentiti dire “mangia gli spinaci che diventi forte”? Tante. E quante volte ci siamo conviti che fosse davvero così? Sempre. 

“Tutta colpa di Popeye”, più conosciuto come Braccio Di Ferro, il marinaio che trangugiava una latta di spinaci e, in un attimo, riempiva i suoi muscoli di forza.  

Ad oggi, fa sorridere pensare che tutta questa bufala sia in parte dovuta a un semplice errore tipografico in una tabella di composizione degli alimenti; è bastato, infatti, l’errore nel posizionamento di una virgola, ed ecco che gli spinaci, per diverso tempo, sono stati ritenuti un prezioso alimento in grado di apportare quantitativi di ferro notevoli, ben 10 volte superiori al loro reale contenuto 

Da lì, sono diversi gli imprenditori che hanno cavalcato l’onda di un valore nutrizionale stratosferico, creando un personaggio capace di contribuire all’impennata del consumo di spinaci (1). L’errore è stato poi corretto, ma ormai era troppo tardi per modificare l’associazione che si era creata nell’immaginario collettivo: spinaci = ferro. 

Qual è la verità sul ferro? 

Il ferro è presente in svariati alimenti, sia di origine animale che di origine vegetale, ma è bene sapere che il ferro non è tutto uguale.
Il ferro-eme, presente nell’emoglobina e nella mioglobina degli alimenti di origine animale (in primis della carne), viene assorbito come tale e in elevata percentuale, circa il 25%, indipendentemente dalla composizione della dieta.
Il ferro non-eme, costituito da sali ferrosi e ferrici, è contenuto negli alimenti di origine vegetale (come gli spinaci per l’appunto), ma presenta una percentuale di assorbimento molto più bassa, circa il 2-13%. Il suo assorbimento, inoltre, dipende dalla presenza nel pasto di altre sostanze riducendosi, ad esempio, quando introdotto assieme ad alimenti ricchi in calcio, un minerale davvero importante per la salute delle ossa.  

Ferro: ogni età ha il suo fabbisogno 

Il ferro ha l’importante compito di permettere il trasporto dell’ossigeno nell’organismo attraverso il sangue e il suo fabbisogno è particolarmente alto per le donne in età fertile. In Italia, inoltre, sembra che gli adolescenti e soprattutto le adolescenti siano un gruppo esposto a grave rischio di carenza di ferro 

È infatti importante sapere che, il fabbisogno di ferro non è uguale in tutte le età e si modifica nel corso della vita: 

– 11 mg nei lattanti; 

– 8 mg nei bambini fino ai 3 anni; 

– 11 mg dai 4 ai 6 anni; 

– 13 mg da 7 a 10 anni; 

– 10 mg nei maschi di 11-14 anni; 

– 13 mg nei maschi di 15-17 anni; 

– 10 mg nei maschi dai 18 anni in su;  

– 18 mg nelle femmine dagli 11 ai 59 anni; 

–  10 mg nelle femmine dai 60 anni in su; 

Particolare attenzione anche al periodo della gravidanza, in cui l’assunzione giornaliera di ferro deve essere pari a 27 mg (1). 

Come assumere ferro eme con la dieta?  

La carne di bovino è un’ottima fonte di ferro biodisponibile. Le carni rosse rappresentano, infatti, un alimento particolarmente efficace per la copertura dei fabbisogni. Oltre a fornire ferro eme, quindi facilmente assimilabile, aumentano l’assorbimento del ferro non eme, svolgendo quindi una importantissima funzione antianemica (delle diverse proprietà nutrizionali della carne rossa abbiamo parlato anche qui).  

Le parti del bovino più ricche di ferro sono le interiora: milza 42 mg, fegato 8.8 mg, rene 8 mg, cuore 4.6 mg, cervello 3.6 mg, lingua 2.8 mg (valori espressi su 100 g di prodotto) (2). Anche i tagli più comuni e conosciuti si difendono bene. Il filetto di vitello ne contiene ben 2.3 mg/100 g, la fesa di bovino adulto 1.8 mg, mentre i tagli posteriori di bovino adulto o vitellone ne hanno circa 1.6 mg (valori espressi su 100 g di prodotto) (2). 

Un buon piatto a base di carne di bovino può, quindi, essere una valida strategia per fare il pieno di ferro, anche in epoche delicate della vita, quali lo svezzamento e la gravidanza. Basterà adottare alcuni utili accorgimenti: carne ben cotta per le donne in gravidanza e tagli morbidi senza nervature per i più piccoli, da servire in piccoli pezzi, tagliati nel senso della lunghezza. 

1. Tufte, T. (2005). Entertainment-education in development communication. Media and Global Change, Rethinking Communication for Development, 159-174.

2. Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU). (2014). Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana IV revisione. 

3. Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA). (2019). Tabelle di composizione degli alimenti. AlimentiNUTrizione (2019). 
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